“Libia: intervento o mediazione?”, seminario presso la Camera di Commercio Italo – Araba (CCIA)

 

 Introduzione: Roberto Aliboni, Consigliere di Amministrazione della CCIA e Consigliere Scientifico dell’Istituto Affari Internazionali

Intervengono:

  • Arnaldo Compagnucci, Branch Manager Arabitalital Spa;
  • Umberto Profazio, Dottorando in Storia delle relazioni Internazionali presso l’Università di Roma La Sapienza e analista per Intelligence and Fraud Investigation (IFI) Advisory;
  • Nicolò Sartori, Ricercatore presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) per i programmi Sicurezza e difesa ed Energia.

 

Roberto Aliboni

Per fornire un quadro generale della scena politica recente della Libia occorre ripercorrere gli sviluppi nel paese a partire dalla prima tornata elettorale successiva alla rivoluzione del 17 febbraio 2011.

Le elezioni del luglio 2012 produssero un parlamento, chiamato Congresso Nazionale Generale, composto da 200 membri, dei quali 80 eletti con un sistema di liste di partiti, e i restanti indipendenti. Le elezioni diedero la maggioranza alla lista dei conservatori, mettendo in minoranza quelle degli islamisti. Questo risultato fu interpretato dalla stampa internazionale come una vittoria dei non islamisti. In realtà questo era vero solo nell’ambito delle liste; degli indipendenti e delle loro inclinazioni si sapeva ben poco.

Un governo fu possibile nominarlo solo dopo quattro mesi, a novembre. Si è trattato di un governo di unità nazionale, risultato di un compromesso tra le diverse istanze presenti nel paese, nel quale la carica di Primo Ministro fu affidata all’avvocato Ali Zeidan, specializzato in diritti umani, che aveva vissuto per lungo tempo a Ginevra prima di tornare in Libia.

Nell’ambito parlamentare la maggioranza è stata inizialmente rappresentata dai conservatori. Questi sono uno schieramento formato da tecnocrati, ex-ministri, alti funzionari e militari in carica all’epoca del regime di Gheddafi ma che vi si erano ribellati, fondando il Consiglio Nazionale di Transizione e dando il via alla rivoluzione. I parlamentari indipendenti dapprima si aggregarono a questa corrente ma, nel periodo che va dalle elezioni del luglio 2012 a quelle del 25 giugno 2014, l’equilibro cambiò a causa del passaggio di esponenti indipendenti allo schieramento inizialmente minoritario, quello cioè dei rivoluzionari non provenienti dalle file del precedente regime e dagli islamisti.

Ciò è avvenuto nel contesto di una dura lotta politica, che però, nel quadro del governo di unità nazionale, dove erano rappresentati tutti, nondimeno si è svolta anche all’insegna di un certo consociativismo tra rivoluzionari islamisti e rivoluzionari conservatori. Questo consociativismo è stato cruciale per la deformazione del settore di sicurezza e, in definitiva, letale alla transizione democratica libica. Infatti, sono state promosse e inserite nei ranghi dello Stato le milizie che avevano combattuto durante la rivoluzione, senza neppure che si tentasse di integrarle in un ambito di forze armate nazionali. Maggioranza e minoranza, attraverso i propri rappresentanti al governo, hanno ciascuna promosso le proprie milizie, se ne sono servite per combattere l’avversario e hanno lasciato in definitiva che i comandanti militari prendessero via via il sopravvento sui leader politici. Hanno così insieme determinato la disfunzione delle istituzioni democratiche dello stato e tolto allo stato il suo necessario monopolio della forza.

La contrapposizione tra conservatori e rivoluzionario-islamisti ha gradualmente assistito al prevalere in parlamento di questi ultimi. Nel corso del primo trimestre del 2014 gli islamisti e i rivoluzionari, ormai detentori della maggioranza in parlamento, proponevano di prorogare il parlamento in essere oltre la scadenza di giugno sancita dalla Costituzione transitoria. La conseguente protesta dei conservatori e l’inasprimento della lotta politica, fra tumultuose vicende, hanno determinato la caduta del Primo Ministro Ali Zeidan.

Nel primo semestre 2014 un altro sviluppo importante è stato l’ingresso nel campo politico e militare del Generale Khalifa Haftar, tornato in Libia dopo aver abbandonato il regime durante la guerra contro il Ciad e vissuto poi negli Stati Uniti. Avendo preso parte alla rivoluzione, Haftar, deluso dagli eventi, raggruppava un esercito di altri delusi e nel maggio 2014 prendeva unilateralmente l’iniziativa di attaccare la città di Benghazi in quanto nido di islamisti, da lui giudicati colpevoli del progressivo incremento del caos nel paese. Haftar perciò si presentava come il vero avversario degli islamisti, in altri termini come un’alternativa ai conservatori, che gli islamisti non riuscivano invece a battere.

Poco dopo, il 25 giugno 2014 si sono svolte le elezioni che, pur con un tasso di partecipazione molto basso, il 18%, sono state vinte dai conservatori. A questo punto gli islamisti, minacciati dall’iniziativa del Generale Haftar e dalla sconfitta elettorale, decidevano di prendere l’iniziativa scatenando la guerra civile e occupando Tripoli.

Le due fazioni contrapposte hanno determinato una divisione del paese: a Est, per la precisione a Tobruk e a Beida, si sono stabiliti il governo e il parlamento eletti, mentre a Ovest Tripoli è occupata dalle forze rivoluzionarie islamiste.

Determinatisi questi eventi, il governo di Tobruk si è gradualmente alleato con il generale Haftar nel contesto di un tentativo di promuovere attorno a lui la rinascita delle vecchie forze. In Tripolitania, nella zona delle montagne di Nafusa vicino Tripoli, le milizie della città di Zintan sono anch’esse schierate con i conservatori di Tobruk, così come i Tubu del Fezzan e i “federalisti” della Cirenaica. Il governo di Tripoli ha a sua disposizione le numerose milizie islamiste del paese e soprattutto quelle rivoluzionarie della città di Misurata, culla della rivoluzione del 17 febbraio. Militarmente fra queste forze prevale un equilibrio che non permette né all’una né all’altra di conseguire la vittoria.

Su questo schieramento si sono inserite a partire dalla fine del 2014 forze collegate all’ISIS jihadista della Mezzaluna Fertile e appoggiate esplicitamente dall’ISIS. Ciò complica ulteriormente la situazione sul campo, con la presenza di tre fazioni reciprocamente contrapposte. La situazione potrebbe divenire simile a quella siriana, con alleanze tattiche e transitorie, tali da instaurare uno scenario di guerra inestricabile e permanente.

Mentre le operazioni militari continuano e amplificano la loro violenza, anche a causa della nuova componente jihadista, viene condotto in Libia, sotto l’insegna dell’Onu, un tentativo di mediazione sostenuto dal mondo occidentale. La situazione che abbiamo descritto non facilita questa mediazione. Un ostacolo particolare, tuttavia, è dovuto al contesto regionale che ha di fatto assorbito nei suoi conflitti quello libico.

L’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti appoggiano i conservatori del governo di Tobruk riconoscendolo come un governo anti-islamista, avverso a quella stessa Fratellanza Mussulmana che questi paesi combattono come un nemico centrale della loro stabilità politica. Il Qatar e la Turchia invece sono favorevoli agli islamisti, ai Fratelli Musulmani e ai rivoluzionari. Entrambi gli schieramenti regionali perciò si combattono anche in Libia, appoggiando il loro schieramento affine e, in questa prospettiva, trasferiscono armi e offrono sostegno politico e diplomatico a livello internazionale. Tale sviluppo complica il difficile tentativo di negoziazione dell’Onu per una soluzione pacifica dello scontro, che anzi radicalizza. Ciò perché il sostegno militare esterno a ciascuno dei due schieramenti alimenta le speranze di vittoria di entrambi rafforzando le fazioni più estremiste a discapito di quelle relativamente più moderate.

L’Egitto è anche intervenuto militarmente bombardando Derna, dove hanno il quartier generale i jihadisti dell’ISIS. Il Cairo ha invitato i paesi occidentali a schierarsi con l’Egitto e i suoi alleati regionali contro gli islamisti in Libia come essi hanno fatto con la coalizione anti-ISIS in Siria ed Iraq. I paesi occidentali hanno rifiutato e hanno invece confermato la strada della mediazione. E’ un rischio, ma a lungo termine è la scelta giusta.

La mediazione, mentre questo seminario ha luogo raccoglie qualche successo, anche se non decisivo. Un sostegno solido dell’Occidente, tuttavia, potrebbe rafforzare i fattori che la sostengono e portarla al successo.

 

Umberto Profazio

Il Dottor Profazio si sofferma sul quadro politico della Libia e in particolare sul deterioramento del quadro di sicurezza e la comparsa sul territorio dello stato islamico che ha avuto conseguenze sui negoziati.

Rispetto allo scenario siriano e iracheno possono essere rilevati alcuni fattori comuni come l’indebolimento del potere centrale, la presenza di una componente tribale e le interferenze dei vicini regionali. Tuttavia, nonostante l’assenza dello scontro settario fra sunniti e sciiti, la situazione è divenuta critica. Secondo gli ultimi dati le vittime del conflitto libico nel 2014 dovrebbero essere state fra 1000 e 2800, a seconda delle varie fonti, mentre il numero degli sfollati è di circa 400.000.

La comparsa dello Stato Islamico, in precedenza conosciuto come stato islamico dell’Iraq e del Levante, è avvenuta principalmente nella roccaforte islamista di Derna, città che, in proporzione al numero degli abitanti, ha contribuito con il maggior numero di jihadisti alle guerre in corso in Medio Oriente. Molti di questi sono ritornati a Derna e tra loro anche al Anbari, un emissario del califfo dell’autoproclamato Stato islamico, al Baghdadi,. Al Anbari, insieme a un influente predicatore saudita è riuscito a promuovere la causa dello Stato Islamico a Derna. Ad Ottobre il Consiglio Islamico della Gioventù di Derna ha dichiarato fedeltà ad al Baghdadi e ha iniziato a istituire tribunali religiosi, a mettere in moto forze di polizia per vigilare sull’applicazione della legge islamica, e si è resa responsabile anche di esecuzioni nei confronti dei violatori.

Gli sviluppi più importanti si sono avuti negli ultimi mesi quando la situazione è precipitata. Lo stato islamico ha una struttura, secondo alcuni analisti, di tipo proto-federale che, a differenza di Al Qaida non si basa sul modello del franchising, ma tende ad istituire delle strutture che vengono definite “wilayiat” ovvero province. In Libia è stata mantenuta la tripartizione storica del modello classico federale: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Proprio a Tripoli si sono verificati gli avvenimenti più importanti come l’attentato del gennaio 2014 e la tragica esecuzione dei 21 copti egiziani. Lo stato islamico però non è l’unico attore presente sul territorio; a Derna vi sono le brigate dei martiri di Abu Salim, poi vi è Ansar Al Sharia, presente soprattutto a Bengasi e accusata di essere responsabile dell’omicidio dell’ambasciatore americano Stevens nel 2012.

Fra i gruppi presenti sul territorio libico vi sono le milizie di Misurata che alla caduta del regime di Gheddafi erano costituite da almeno 200 gruppi armati composti ciascuno da un numero di combattenti variabile da una decina a 1800 persone. L’attivazione di queste milizie è divenuta più evidente nel corso del 2014, quando ad esempio le milizie di Misurata hanno attaccato quelle di Zintan per il controllo dell’aeroporto di Misurata, caso in cui si è assistito alla prima interferenza dell’Egitto, intervenuto a supporto delle milizie di Zintan, con l’effetto di rendere più compatta la coalizione delle milizie di Misurata. Le milizie di Zintan invece sono un gruppo di 23 milizie situato in un punto strategico importante ovvero la parte più estrema dell’occidente libico, e sono alleate a loro volta con l’esercito libico del Generale Haftar.

La presenza di tutti questi attori sul territorio rende difficili le trattative di pace anche a causa della bipolarità politica fra Tripoli e Tobruk. Il governo di Tobruk è sostenuto dalla coalizione Karama (Dignità) del Generale Haftar mentre la coalizione Fajr (Alba) sostiene il Congresso Generale Nazionale di Tripoli, con a capo Omar Al Hassi.

Le trattative tra questi due soggetti sono iniziate grazie al supporto dell’Unsmil, United Nations Support Mission in Libya, guidato dal diplomatico spagnolo Bernardino Leon. In realtà nel settembre 2014 c’era già stato il primo tentativo di riavvicinamento fra le parti, effettuato a Gadames, in Tripolitania, al confine con l’Algeria, ma con risultati infruttuosi.

Un seguente importante sviluppo politico è stata la sentenza della Corte Suprema, che ha sede a Tripoli, del 6 novembre 2014 che ha invalidato le elezioni di giugno 2014 rendendo quindi apparentemente illegittimo il governo di Beyda e il parlamento di Tobruk. La sentenza è però criticata dalla Camera dei Rappresentanti per la stessa ragione per la quale la comunità internazionale continua a considerare legittimo tale governo, ossia che la dichiarazione della Corte Suprema sarebbe avvenuta sotto minaccia delle armi.

In tal modo la comunità internazionale ha favorito una nuova mediazione fra le parti a Ginevra, nel Gennaio 2015, con la partecipazione dei consigli locali. Il Congresso Generale Nazionale si è trovato spiazzato e per il timore di essere estromesso dalle decisioni sul futuro del paese ha deciso di partecipare alle trattative svoltesi a febbraio a Gadames. La partecipazione del parlamento di Tobruk e del Congresso Generale Nazionale alle trattative è stato un segnale positivo anche se le due parti non si sono incontrate direttamente rendendo più difficile la mediazione delle Nazioni Unite i cui funzionari sono stati costretti a effettuare la cosiddetta shuttle diplomacy facendo la spola fra le due parti contrapposte. Il risultato è stato l’assenso delle due parti alla formazione di un governo di unità nazionale e a un cessate il fuoco in realtà già decretato per favorire la soluzione negoziale.

A questo punto interviene l’Isis. Il giorno dopo la diffusione del video della decapitazione dei 21 copti egiziani, l’Egitto reagisce con un intervento dell’aviazione a Derna che provoca la morte di circa 50 jihadisti. L’Isis reagisce a sua volta con l’attentato di Qubbah che ha causato la morte di 40 persone. Tale attentato non è stato condannato dal Congresso Generale Nazionale, cosa che ha fatto invece il Parlamento di Tobruk, che ha votato la sospensione dei negoziati a tempo indefinito.

Nuovi tentativi di riavvicinamento fra le parti sono stati svolti di recenti in Marocco e sono previsti in futuro in Algeria. Il quadro rimane tuttavia volatile perché gli interessi delle potenze regionali sono numerosi e spesso contrastanti, la cui differenziazione è riconducibile grosso modo a un regional divide: da una parte gli islamisti e da un’altra gli anti islamisti; da una parte chi sostiene i partiti affiliati alla fratellanza musulmana e dall’altra chi si oppone a un’espansione dell’islamismo nella regione. Come detto da Aliboni, da una parte vi sono Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, e dall’altra Qatar e Turchia. Il ruolo di Tunisia e Algeria è più neutrale. In particolare quest’ultima ha cercato di favorire il riavvicinamento e la mediazione fra le parti anche per mantenere un ruolo di prestigio nella regione, e si è offerta di ospitare i negoziati.

Riguardo ai possibili sviluppi futuri e le azioni concrete che potranno essere intraprese è necessario fare una distinzione tra fronte interno ed esterno.

Sul fronte interno un tentativo di riavvicinamento fra le parti è auspicabile, in particolare per quanto riguarda i temi più sensibili, come la political isolation law, ossia la legge che impedisce agli ex funzionari del regime di Gheddafi di partecipare alla vita politica del paese. Tale misura è stata giudicata eccessiva in quanto non fa distinzione tra funzionari di diverso grado e nel mese di Febbraio il parlamento di Tobruk ha deciso di sospenderla. Il Parlamento di Tripoli ha protestato per tale decisione. Una secondo tema riguarda la Costituzione, di cui non si parla abbastanza. L’Assemblea legittimata a redigere la nuova costituzione ha subito forti pressioni sia interne che esterne, ad esempio quando i due Parlamenti, di Tobruk e di Tripoli, hanno chiesto un aggiornamento sulla situazione dei lavori all’interno dell’assemblea hanno costretto quest’ultima a non rispondere a nessuna delle due istanze per evitare di vedere la propria risposta interpretata come una legittimazione indiretta di uno dei due parlamenti. Anche all’interno della stessa assemblea vi sono delle diverse personalità che sostengono una o l’altra fazione e risulta necessario cercare di lasciare il più possibile autonomo tale consesso.

Riguardo al quadro esterno, le potenze regionali dovrebbero cercare di favorire una soluzione e un compromesso fra le parti. L’iniziativa egiziana di febbraio, ovvero la sua richiesta alle nazioni Unite di decretare la fine dell’embargo sulle armi verso la Libia, non ha avuto successo, scongiurando così un aumento delle tensioni e degli scontri interni.

Le possibili misure concrete possono essere le missioni di peacekeeping e peace enforcing. Il dibattito ha coinvolto anche l’Italia e ne è emerso che un’eventuale missione di peacekeeping sarebbe destinata al fallimento in quanto non esiste un’autorità centrale e l’attuale contesto costringerebbe tali forze di pace a prendere le parti di una o dell’altra fazione. Uno dei due tipi di missione potrebbe essere approvato dopo che i tentativi di mediazione abbiano avuto un certo successo conferendo alle autorità centrali una sufficiente dose di forza e riconoscibilità nazionale.

Riguardo le istituzioni economiche e finanziarie e il loro grado di indipendenza vi è stato un acceso dibattito. I due parlamenti, di Tripoli e di Tobruk, hanno tentato di nominare proprio personale a capo, ad esempio, della National Oil Corporation (NOC), determinando interferenze controproducenti le sorti della Libia. La stessa NOC a novembre ha emesso un comunicato in cui affermava la propria indipendenza e autonomia.

 

Nicolò Sartori, Ricercatore presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI)

Il Dottor Sartori effettua un’analisi congiunta degli aspetti geopolitici, energetici ed economici, nel tentativo di offrire un quadro il più possibile esaustivo del settore energetico libico dal quale risultino la rilevanza del paese in tale settore e le motivazioni per le quali i gravi eventi libici non stanno determinando conseguenze rilevanti sul mercato energetico globale. Tale operazione di sintesi risulta ancor più complessa in un periodo in cui gli avvenimenti sul campo si susseguono in maniera molto dinamica e risultano quindi di difficile comprensione anche in considerazione dell’ingente flusso di informazioni che ci giungono quotidianamente. In seguito Sartori si soffermerà sugli effetti degli scontri libici sulla produzione locale di idrocarburi e quindi sulle conseguenze di tale situazione per l’Italia, con uno sguardo anche alle prospettive energetiche del paese.

La Libia è un paese importante dal punto di vista energetico, è membro dell’OPEC e detiene riserve consistenti soprattutto di petrolio. E’ il primo paese africano per riserve di greggio con circa il 38% del totale continentale, e il nono a livello globale. La maggioranza delle risorse è localizzata nella parte orientale del paese, nel bacino di Sirte. Per quanto riguarda il gas naturale la Libia è il quinto paese africano per risorse dopo Mozambico, Nigeria e Algeria, il ventitreesimo al mondo e rappresenta un partner fondamentale per l’Italia. Pur non essendo un grande player globale, il paese ha sperimentato una sostanziale crescita della produzione e delle riserve, scoperte negli anni precedenti la rivoluzione, anche grazie all’apertura del settore agli investimenti e al mercato. La produzione di gas era aumentata in modo significativo dal 2003 al 2010 raggiungendo circa 16 miliardi di m3 annui. Quella di petrolio negli anni precedenti la crisi si era attestata attorno agli 1,6 milioni di barili al giorno, un dato relativamente basso se si considerano le riserve detenute e il livello di produzione di 3 milioni di barili al giorno raggiunto verso la fine degli anni sessanta. La spiegazione del calo produttivo rispetto agli anni 1960 è data da questioni relative al management della compagnia energetica nazionale e dall’incapacità di sostenere investimenti che potessero mantenere e riportare la produzione ai livelli degli anni precedenti.

A dispetto delle attese, il temporaneo blocco delle attività dei settori oil e gas, comprese quelle del gasdotto Greenstream, causato dalla rivoluzione del 2011 e dal conflitto seguente, non ha compromesso la capacità di riprendere i livelli di produzione precedenti. Di fatto, anziché i tre o quattro anni previsti per tornare al livello di produzione di 1,6 milioni di barili al giorno, il settore energetico ha ripreso a lavorare in modo quasi completo già nel 2012, anno in cui la produzione si è attestata attorno a 1,2 milioni di barili al giorno.

Tuttavia, per motivi inerenti alla sicurezza, nel 2013 la produzione ha ripreso a oscillare raggiungendo circa i 900 mila barili al giorno. Ciò è dipeso dalle difficoltà nel garantire i regolari flussi di import ed export di petrolio in quanto alcune milizie hanno individuato nel controllo di tali traffici una fonte di finanziamento delle proprie attività. Uno dei livelli minimi di produzione è stato quello di 450 mila barili al giorno raggiunto nel 2014, a causa di problemi alla raffineria di Zawiyah e ad alcuni siti di stoccaggio.

A inizio 2015, dopo che la produzione si era attestata attorno a 1 milione di barili al giorno, la comparsa sul territorio libico dell’Isis e una serie di attacchi, in particolare quelli all’oleodotto che collega il giacimento di el Sarir agli export terminal situati a Nord del paese hanno fatto crollare nuovamente la produzione a uno dei minimi storici, attorno ai 200 mila barili al giorno. Secondo le notizie più recenti, nonostante l’incremento degli attacchi, sembra che la produzione si sia riassestata sui 200 / 500 mila barili al giorno. Ciò dimostra come, dati gli elementi a disposizione, sia difficile prevedere come e in quale misura l’instabilità possa influenzare la produzione di petrolio della Libia. Tuttavia è possibile affermare che, nella migliore delle ipotesi, il paese potrà tornare a produrre nel breve termine circa 1,5 milioni di barili al giorno, ma non i 3 milioni ipotizzati in precedenti previsioni, per due ragioni principali: la prima è che il blocco delle attività ha reso meno efficienti molti giacimenti e le strutture associate; la seconda, sempre legata alle infrastrutture relative al settore minerario, è che gli investimenti nel settore idrocarburi si sono interrotti e le compagnie che sono presenti sul territorio, come Eni e Total, cercano di gestire il business as usual principalmente con personale in loco. Un discorso diverso va fatto per il gas naturale la cui produzione rimane pressoché stabile anche quando le milizie o gli stakeholder locali hanno interesse a interferire nel settore degli idrocarburi. Ciò perché il gas libico viene trasportato via gasdotto consentendo una sostanziale stabilità dei flussi rispetto alle navi gasiere. 

L’Italia è direttamente interessata ai flussi di gas libico che raggiungono il nostro paese attraverso il gasdotto Greenstream. Di fatto la Libia è il nostro terzo fornitore di gas insieme all’Algeria e dopo Russia e Norvegia. Da tale paese abbiamo importato 6,5 miliardi di metri cubi annui, non molto meno della capacità massima della condotta che è di 9 miliardi di m3 annui. Anche nel settore petrolifero la Libia ha un ruolo rilevante. Nonostante le grandi difficoltà interne il paese ha continuato ad esportare greggio verso l’Italia registrando nel 2014, secondo i dati di Mise e Assopetroli, una quota fra il 5% e il 7% del totale degli acquisti di petrolio dell’Italia. Va sottolineato che nel settore petrolifero l’Italia gode di un più ampio numero di fornitori e quindi il suo portfolio è più differenziato rispetto a quanto accade per gli acquisti di gas. Il primo fornitore di gas dell’Italia è la Russia con una quota del 30% del totale, mentre, sempre la Russia, fornisce all’Italia il 12/13% del petrolio totale importato dal nostro paese.

Gli interessi italiani in Libia nel settore idrocarburi sono rappresentati dall’Eni, che è operativa nel paese dal 1959, gestisce al 50% il gasdotto Greenstream e, con riguardo alla produzione di gas, ha una serie di giacimenti onshore e offshore, oltre che una partecipazione nel giacimento petrolifero Elephant, situato a ovest del paese.

Il mercato libico rappresenta la quota maggiore della produzione totale di petrolio del gruppo Eni e anche la produzione di gas naturale ha un certo rilievo per l’azienda che proprio grazie alla continuità di funzionamento del gasdotto Greenstream è riuscita a limitare gli effetti del calo di produttività petrolifera del paese. Oggi il gruppo italiano punta a diversificare i mercati di approvvigionamento energetico. Mentre fino a pochi anni fa le due gambe principali dell’Eni erano Russia e Libia, le attuali questioni politiche e di sicurezza insieme a una rinnovata strategia per il settore idrocarburi, portano la società italiana a spostare il proprio focus verso l’Africa sub sahariana, in particolare verso l’attività di produzione nel golfo di Guinea e quelle di esplorazione di giacimenti in Mozambico.

I rischi per il nostro paese riguardano soprattutto il settore del gas, mentre nel settore petrolifero il  problema potenziale è rappresentato da rialzi straordinari del prezzo del greggio. Con riferimento al mercato del gas naturale, la situazione per l’Italia risulta complicata proprio per la sua dipendenza da pochi grandi fornitori che attualmente attraversano periodi di instabilità. Di fatto, salvo la Norvegia, gli altri principali fornitori di gas dell’Italia, ovvero Russia, Algeria e Libia non rappresentano oggi delle fonti di approvvigionamento del tutto sicure a soddisfare i bisogni energetici italiani in caso di complicazioni del quadro politico e di sicurezza internazionale. Nel caso della Russia le incertezze sono dovute alla sicurezza dell’Ucraina attraverso la quale passa il gas diretto verso l’Italia. Se i negoziati tra Bruxelles, Mosca e Kiev relativi al Winter Package – che disciplina le forniture di gas russo all’Ucraina – non dovessero condurre a una pacificazione fra le parti contrapposte, la Libia potrebbe diventare fondamentale per la sicurezza energetica italiana, assieme alle strutture di rigassificazione del GNL la cui capacità attuale dell’Italia è di circa 14 miliardi di m3 annui. Al contrario, se il fronte russo dovesse rimanere stabile, il nostro paese potrebbe sopportare anche un eventuale blocco del gasdotto Greenstream. Va ricordato a tal proposito che la recente esercitazione periodica della Marina italiana nel mar Mediterraneo ha avuto, secondo alcune fonti, lo scopo di pattugliare le aree attorno alla piattaforma offshore dove Eni produce gas naturale e ovviamente quello di controllare le acque dove il gasdotto è collocato e soprattutto l’area dove è situata la stazione di compressione sulla costa libica dalla quale il gas di Greenstream viene pompato verso l’Italia. Al momento la situazione non è critica ma il concatenarsi di eventi negativi incontrollati, soprattutto sul fronte russo, potrebbe far tornare la Libia un elemento centrale per la sicurezza energetica del nostro paese.

 

Arnaldo Compagnucci, Branch Manager di Arabital Spa

Arnaldo Compagnucci rappresenta una società di spedizioni che è stata fra i primi operatori occidentali ad aprire filiali e uffici e ad operare direttamente in Libya, dieci anni fa. Un progetto che lo ha portato a trascorrere tempo in Libya. Il Sig. Compagnucci è testimone diretto dell’andamento del business libico. La caratteristica principale rilevata nel contesto economico libico è una sostanziale divisione in due tronconi, come del resto era riscontrato all’epoca di Gheddafi. Da una parte vi sono i progetti governativi, dall’altra vi sono le iniziative dei privati facoltosi che dispongono di grandi quantità di denaro e che cercano nell’attuale momento storico, di far andare avanti il paese.

A parte gli idrocarburi, la Libya produce molto poco, ma acquista tutto, dal food fresco e secco all’abbigliamento, ai mobili, etc. Dal 2013 al 2014 l’interscambio con l’Italia è diminuito del 60% e il trend sembra essere costante. Tuttavia vi è un certo numero di acquirenti che continua a importare dall’Italia prodotti di varia natura fiduciosi nel ripristino della stabilità economica del paese. Le compagnie di navigazione continuano a toccare i porti libici, ad eccezione di quello di Bengasi, chiuso alle navi occidentali da circa cinque mesi e che ora è stato parzialmente sostituito da quello di Tobruk. Gli altri tre porti della Cirenaica, ovvero Tripoli, Al Khoms e Misurata, hanno un livello di operatività che varia dal 70% al 90% e che consente il prosieguo dei traffici commerciali e dello svolgimento delle operazioni doganali in un clima di apparente sicurezza.

Per quanto riguarda i trasporti aerei, non c’è mai stato un grosso traffico commerciale dall’Europa verso la Libya, dovuto più che altro alla vicinanza di quest’ultima con l’Europa. L’aeroporto internazionale di Tripoli è chiuso e semidistrutto, salvo probabilmente il terminal per i traffici interni che alcune fonti riferiscono essere stato risparmiato. In questo momento funziona il secondo aeroporto della capitale, quello di Mitiga, sul lungomare di Tripoli, usato dal vecchio regime per i voli interni verso la Cirenaica e le altre destinazioni del Centro e del Sud del paese. Delle due compagnie aeree libiche, la Libyan Arab Airlines e la low cost Afriqiyah, nessuna ha ricominciato a garantire i collegamenti con l’Italia.

Le banche sono operative e, seppur con molte difficoltà, si possono aprire lettere di credito, anche se al momento è necessario anticipare il 100% anziché il 20% come accadeva fino a sei mesi fa. Tuttavia, operando con lettera di credito, il cambio fra euro e dinaro è di 1,60/1,65 dinari per 1 euro, mentre il resto delle contrattazioni viene effettuato con un cambio più svantaggioso.

Compagnucci è tornato in Libya due settimane dopo la fine della guerra contro il vecchio regime e ha potuto constatare la volontà degli operatori economici, in particolare dei clienti del Gruppo Arabital, di ricominciare a lavorare e quindi ad importare. Per tale motivo tali soggetti non sono tanto interessati a che prevalga nel paese un concetto più o meno severo dell’Islam, ma, per il bene del loro paese, desiderano una leadership che garantisca la stabilità necessaria a sviluppare i traffici economici e in generale l’economia libica che negli ultimi anni ha subito un forte declino.

La situazione è in continuo divenire, ma la volontà del ceto medio, dei businessman e dei privati è quella di ricominciare a fare business anche se la pacificazione del paese non fosse completa.

Così come succedeva all’epoca del regime di Gheddafi, alcuni elementi di incertezza persistono e sono riscontrabili ad esempio nella situazione socioeconomica del paese. Di fatto oggi è possibile non pagare sempre la stessa tariffa doganale per lo stesso tipo di operazione ed è altresì difficile stabilire con esattezza l’entità reale della popolazione. Considerato l’afflusso di immigrati dai paesi vicini, ciadiani, maliani, egiziani e berberi, reso possibile in numero consistente soprattutto dal fatto che fino a un anno prima della caduta del regime di Gheddafi le frontiere erano aperte, la popolazione della Libia potrebbe oggi contare 6/8 milioni di abitanti, dei quali dai 3 ai 4 milioni potrebbero vivere nella sola città di Tripoli. Tale differenza di stime per Tripoli è verosimile in quanto è una città che si sviluppa in un’area molto estesa. Proprio a Tripoli è facile incontrare centinaia di immigrati in cerca di un lavoro che permetta poi loro di pagarsi un passaggio verso l’Italia.

La grande potenzialità della Libia come ingresso per l’Africa è l’elemento che fa ben sperare per una pronta ripresa economica del paese in futuro. A titolo di esempio, anche nel 2013 è arrivata in Libia una grande quantità di containers di mobili, destinati anche e in gran parte ai paesi confinanti e del centro Africa. La Libia è il paese che può svolgere al meglio la funzione di porta d’ingresso dei traffici commerciali verso l’Africa; essa si trova non solo geograficamente in una posizione privilegiata rispetto all’Algeria, alla Tunisia e all’Egitto.

Quindi, l’economia libica si risolleverà quando il suo fulcro, ossia le esportazioni petrolifere, riprenderà le operazioni a pieno regime. In controtendenza rispetto alla delicata situazione interna che consiglierebbe apparentemente maggiore prudenza da parte degli importatori libici, il Gruppo Arabital si sta occupando della spedizione di importanti impianti per la produzione di manufatti di vario genere.

Come accennato precedentemente, in questo momento è la volontà dei singoli privati che tiene in vita l’economia nazionale, come accadeva a Benghazi all’epoca del regime di Gheddafi. I dati più recenti riportano un forte calo delle importazioni libiche dal suo partner commerciale principale del periodo post Gheddafi, ossia la Turchia, principalmente a causa del bando imposto dal governo di Tobruk ai traffici con tale paese. Il tradizionale fornitore di manufatti della Libya è l’Italia che conserva tutte le prerogative per continuare a svolgere tale ruolo anche in futuro.