RASSEGNA STAMPA – Export, la sfida del coraggio

 

L’Unione Sarda (17 agosto 2016) 

 

Uno studio della Camera di Commercio Italo-Araba sulle opportunità per le aziende sarde

L’export sardo torna timidamente a crescere ma ancora non basta. Al netto dei prodotti petroliferi, che pesano per oltre l’80 per cento del totale sui due piatti della bilancia commerciale, gli altri comparti continuano a soffrire e registrano un “fatturato” che vale meno del 3 per cento del Pil dell’intera regione. «Una scarsa propensione all’internazionalizzazione, un segnale negativo che abbassa la crescita potenziale», spiegano gli esperti dell’Istituto Tagliacarne, in un report di un paio d’anni fa. Poco, in questi ultimi mesi di crisi diffusa, è cambiato. Ed è una sfida, quella che attende le aziende sarde, che non è ancora persa, con l’obiettivo di conquistare maggiori spazi all’estero, soprattutto ora che si sta aprendo un mercato che negli anni conterà sempre di più. «Nel 2025 un terzo della popolazione mondiale sarà di fede musulmana è già oggi l’economia Made in Islam di fatto controlla tutti i mercati a più veloce crescita», avverte Raimondo Schiavone, vicepresidente della Camera di commercio Italo-Araba, che con Alessandro Aramu ha curato il volume “Internazionalizzazione delle imprese” (Arkadia editore), con la prefazione di Aldo Berlinguer. 

I MERCATI «Internazionalizzarsi non significa delocalizzare i fattori produttivi di un’impresa, di una comunità, di un Paese», sottolinea Berlinguer, ordinario di Diritto comparato all’Università di Cagliari. «È cambiare mentalità, modalità di lavoro, è aprire i propri orizzonti prima sul piano culturale, poi su quello produttivo e commerciale». E la questione export è solo una parte di questa sfida. «L’impresa diventa in qualche modo internazionale – spiega Schiavone – perché vende i prodotti all’estero, acquista da fornitori esteri, produce o trova le sue fonti di finanziamento all’estero». Però le esportazioni rappresentano il passo spesso decisivo per un’impresa che guarda ai mercati esteri. E non è ammessa l’improvvisazione. Quindi serve un buon piano export e una certa solidità finanziaria, mettendo nel conto ulteriori risorse da investire. Elementi essenziali che però da soli non bastano se l’azienda non offre prodotti di qualità a prezzi competitivi. E poi, come suggerisce Schiavone, bisogna «valutare la possibilità di collaborare con professionisti e consulenti esterni», verificando «le opportunità di finanziamento previste a livello nazionale, comunitario e internazionale». Ad aiutare le aziende in questo percorso non sempre facile ci sono due enti specializzati, Simest e Sace, oltre a una serie di servizi offerti dall’Ice, l’Istituto per il commercio estero, da associazioni di categoria e camere di commercio.

I PAESI ARABI Negli ultimi anni, poi, si sono aperte immense autostrade che portano a nuovi mercati. «I Paesi arabi rappresentano una grande opportunità per le nostre aziende», dice Schiavone, segnalando l’area del Medio Oriente e del Nord Africa, terre profondamente diverse tra loro e spesso attraversate da conflitti e profonde trasformazioni sociali e politiche, che però già ora e sicuramente in prospettiva sono un polo d’attrazione per l’export delle piccole e medie imprese italiane. Basta pensare agli scenari offerti dagli Emirati Arabi e dal Qatar, due realtà dinamiche e in fortissima crescita, e da Kuwait e Oman. 

L’EXPORT A frenare il processo di internazionalizzazione contribuiscono le caratteristiche del tessuto produttivo: in Sardegna oltre il 96 per cento delle imprese sono piccole o piccolissime, un dato che comunque non si discosta troppo dalla media del Sud e di tutta Italia. Altri ostacoli sono poi la difficoltà di accesso al credito e la scarsa competitività dei prezzi, con un alto costo unitario del lavoro. Non bisogna quindi sorprendersi se le ultime rilevazioni statistiche sulla bilancia commerciale dell’Isola – dominata dallo scambio di prodotti petroliferi raffinati, cioè l’attività della Saras di Sarroch – mostrano cifre minime e percentuali irrilevanti per la maggior parte dei comparti. Unico dato confortante, la crescita dal 2015 al 2014 del settore “alimentari, bevande e tabacco”, passato da 172 a 195 milioni di euro. Un piccolo passo verso una sfida difficile ma non impossibile.

Alessandro Ledda